Città Smart e a zero rifiuti, ispirata dall’Europa la Cina si appresta a cambiare.
Solo pochi anni fa, si parla ormai di luglio 2017, la Cina iniziava a parlare di chiusura delle frontiere alla “spazzatura straniera”. Un divieto di importazione che entrato in vigore alla fine dello stesso anno ha, di fatto, bloccato inizialmente l’import di 24 tipi di rifiuti che, mischiati ad altre materie prime, arrivavano in grandi quantità nel paese asiatico insieme ad altri rifiuti pericolosi che ne impedivano l’effettivo riutilizzo. Si è cominciato con gli stop a plastica, carta e tessuti per allargare la messa al bando anche ai rottami di auto e navi e all’acciaio. Ad oggi, infatti, sono oltre 50 le tipologie di rifiuti che non possono, o non potranno a breve, varcare i confini cinesi e l’obiettivo del Governo è quello di ridurre a zero l’import entro la fine del prossimo anno. Un tentativo questo per Pechino di affrancarsi dal ruolo di discarica del mondo che, pur mettendo in rischio gran parte del business avviato negli anni derivato proprio dai rifiuti stranieri (si parla, citando i dati del 2016, di circa il 56% delle importazioni mondiali per un valore di 3,7 miliardi di dollari), ha cercato di bloccare il degrado ambientale del paese asiatico in un momento in cui cresce l’inquinamento della terra, dei corsi d’acqua e in cui le città sono coperte da una fitta coltre di smog. Una mossa, inoltre che, pur lasciando i Paesi occidentali con un gigantesco problema di smaltimento, ha dato al gigante asiatico la possibilità di costruire una filiera nazionale del riciclo il più possibile su misura. Il blocco cinese, come sappiamo, ha avuto effetti anche su tutta l’economia del riciclo mondiale, con la maggior parte dei paesi europei e del nord America che proprio in Cina hanno inviato per anni il proprio surplus di rifiuti, aprendo però allo stesso tempo nuove discussioni sul problema e portando i vari governi a ripensare a quella economia lineare che ormai non può più continuare ad agire creando rifiuti e non soluzioni per il loro smaltimento, aprendo allo stesso tempo a quella economia circolare che invece promette, ed è l’unica possibilità che oggi abbiamo, di cambiare davvero le cose.
Nonostante la lunga serie di stop alle importazioni imposti dal Governo centrale, dopo i precedenti decenni di rapida industrializzazione e urbanizzazione, i volumi delle discariche cinesi hanno però raggiunto dei picchi insostenibili con stime che parlano di un accumulo di soli rifiuti solidi pari a circa 60-70 miliardi di tonnellate. Così proprio in questi giorni la Cina sta tornando a metter mano alla questione “spazzatura”, divenuta negli ultimi anni un problema non più rimandabile, con il lancio del progetto “Città a zero rifiuti”. Dopo un primo annuncio, in occasione del “World Cities Summit” a Singapore lo scorso luglio, in questi giorni il Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese ha, infatti, presentato il documento ufficiale in cui, guardando alle esperienze europee e giapponesi e riadattandole in chiave nazionale, si pone l’obiettivo di creare nuovi centri di economia circolare “made in China” ossia creare sul territorio avanzati modelli di sviluppo e gestione urbana che “promuovano stili di vita ecologici, riducano al minimo la quantità di rifiuti prodotti e rafforzino i programmi di riciclaggio”, utilizzando al meglio le risorse e riducendo i rischi per salute e ambiente. Il governo cinese si appresta così a selezionare 10 città pilota dove implementare entro il 2020 un nuovo sistema di gestione rifiuti. “La costruzione del progetto pilota zero-waste city è di grande importanza per promuovere e approfondire la riforma globale della gestione dei rifiuti solidi urbani”, si legge dalle colonne del sito del ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese, “una misura importante per realizzare una civiltà ecologica e per costruire una Cina migliore. Il nostro punta a diventare un programma replicabile per raggiungere il virtuoso obiettivo zero rifiuti”.
Ora con il nuovo progetto si tenterà di studiare misure tali da portare all’ottimizzazione delle selezione dei rifiuti solidi e migliorare la pianificazione urbana anche grazie all’utilizzo di nuovi impianti di trattamento. Inoltre, al fine di migliorare il livello di sviluppo verde urbano, il Governo intende promuovere l’adozione di stili di vita orientati verso un maggiore rispetto dell’ambiente, e diffondere nuove pratiche sia industriali sia di produzione agricola che rispettino le risorse naturali a disposizione. Per promuovere la filiera del riciclo, inoltre, Pechino ha già attuato una serie di progetti tra cui la realizzazione di nuove strutture tecnologiche dedicate alla seconda vita dei prodotti ed a un piano per il recupero delle batterie al litio. Nello specifico si parla di un centinaio di strutture su larga scala dedicate ai rifiuti solidi urbani e a quelli provenienti dall’industria, con un occhio di riguardo per prodotti di largo uso come gli imballaggi, le biciclette e i moduli fotovoltaici. Strutture queste che dovranno promuovere tecnologie, prodotti e metodi di riciclaggio avanzati e le società autorizzate ad aprire laboratori in una di queste nuove basi potranno richiedere finanziamenti governativi speciali. L’obiettivo è facile da intuire: al di là di una rinnovata attenzione ambientale, la nazione è interessata a consolidare la sua posizione nel mercato delle materie prime e prime-seconde, a cominciare da una migliore gestione delle risorse nazionali. Una mossa quasi obbligata, a mio avviso, viste anche le ultime politiche in fatto di rifiuti.