Ambiente, economia e politica. Salvaguardia, misure e decreti
Capita spesso di sentir parlare del concetto di sviluppo sostenibile attraverso giornali, televisioni e altri mezzi di comunicazione di massa, eppure, di frequente, il significato di questa espressione sfugge alla maggioranza delle persone.
Ma cosa vuol dire in realtà sviluppo sostenibile? Esso è “sviluppo economico compatibile con la salvaguardia e la conservazione delle risorse ambientali”. Questa spiegazione, sebbene indicata dal linguaggio comune, ha il pregio di porre in primo piano i due soggetti centrali dell’argomento: economia e ambiente. Dalla capacità di mettere in relazione nel migliore dei modi questi due soggetti deriva un’efficace politica di sviluppo sostenibile. L’efficacia risulta dal riuscire a salvaguardare e conservare le risorse, e ciò vuol dire prendere coscienza del fatto che le risorse presenti in natura non sono illimitate (per lo meno quelle maggiormente utilizzate dall’uomo), e quindi è necessario saperle gestire in modo quanto mai razionale, affinché le future generazioni possano godere degli stessi privilegi di cui fanno abbondantemente uso le generazioni attuali. Lo sviluppo sostenibile però, non fa riferimento solo alla gestione delle risorse, ma allarga i suoi orizzonti a tutte le attività gestite dall’uomo, poiché garantire una vita dignitosa alle generazioni future, vuol dire anche dare loro un ambiente sano e capace di permettere una vita serena.
In tal senso vanno viste le fonti energetiche rinnovabili che permettono un’alta produzione energetica con un impatto ambientale quasi del tutto inesistente. L’importanza di usare fonti rinnovabili e di gestire in modo oculato le risorse limitate presenti in natura rientrano nelle capacità delle imprese di attuare delle politiche economiche compatibili con l’ambiente. Conoscere le problematiche non è però sufficiente affinché si possa assistere ad un’improvvisa inversione di tendenza nella gestione delle imprese. I problemi che si incontrano sono due: il primo riguarda il problema culturale, che vede una parte non trascurabile di imprenditori restii a politiche di gestione dell’impresa più ecologiche, legati come sono al vecchio modo di fare marketing e ad un indispensabile profitto di breve periodo. Il secondo problema è invece di carattere economico e riguarda in particolare le piccole e medie imprese che senza adeguati finanziamenti di origine statale o internazionale non sono nelle condizioni di rendere più ecologiche le loro attività.
Infine sviluppo sostenibile vuol dire venire incontro alle esigenze dei paesi poco sviluppati, ed è questo forse uno dei punti che crea più scissioni e dibattiti tra i paesi occidentali, i quali si interrogano sul come intervenire in aiuto a questi paesi; il dibattito si scatena in virtù del fatto che i paesi in via di sviluppo criticano gli stati occidentali perché dare finanziamenti per lo sviluppo di attività economiche di un paese e poi non permettergli di entrare nel mercato internazionale, a causa delle barriere doganali presenti in particolare in Europa, non rappresenta un aiuto concreto. Dall’altra parte i paesi industrializzati (in particolare la Francia) si difendono sostenendo di non poter fare diversamente a causa del basso costo della manodopera in questi paesi. In realtà poco importa di chi abbia ragione in questo dibattito, visto che alla fine l’attuale situazione risulta negativa solo per quei paesi in via di sviluppo che non hanno il potere di influire sulle politiche economiche[1].
Facendo un passo indietro, ricordiamo che la politica dell'Unione in materia di ambiente risale al Consiglio europeo tenutosi a Parigi nel 1972, in occasione del quale i capi di Stato o di governo (sulla scia della prima conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente) hanno dichiarato la necessità di una politica comunitaria in materia di ambiente che accompagni l'espansione economica e hanno chiesto un programma d'azione. L'Atto unico europeo del 1987 ha introdotto un nuovo titolo che ha costituito la prima base giuridica per una politica ambientale comune finalizzata a salvaguardare la qualità dell'ambiente, proteggere la salute umana e garantire un uso razionale delle risorse naturali. Le successive revisioni dei trattati hanno rafforzato l'impegno della Comunità a favore della tutela ambientale e il ruolo del Parlamento europeo nello sviluppo di una politica in materia. Il trattato di Maastricht (1993) ha fatto dell'ambiente un settore ufficiale della politica dell'UE, introducendo la procedura di codecisione e stabilendo come regola generale il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Il trattato di Amsterdam (1999) ha stabilito l'obbligo di integrare la tutela ambientale in tutte le politiche settoriali dell'Unione al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Quello di “combattere i cambiamenti climatici” è divenuto un obiettivo specifico con il trattato di Lisbona (2009), così come il perseguimento dello sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi. La personalità giuridica consentiva ora all'UE di concludere accordi internazionali.
Il Parlamento europeo svolge un ruolo importante nell'elaborazione del diritto ambientale dell'Unione. Nel corso dell'8a legislatura, si è occupato, tra l'altro, della legislazione derivata dal piano d'azione dell'Unione per l'economia circolare (rifiuti, batterie, veicoli fuori uso, discariche, ecc.), e dei problemi connessi ai cambiamenti climatici (ratifica dell'accordo di Parigi, condivisione dello sforzo, contabilizzazione dell'uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo e la silvicoltura negli impegni dell'Unione in materia di cambiamenti climatici, riforma dell'ETS, ecc.).
Il Parlamento ha in più occasioni riconosciuto la necessità di una migliore attuazione in quanto priorità essenziale. In una risoluzione su «come trarre il massimo beneficio dalle misure ambientali dell'UE: instaurare la fiducia migliorando le conoscenze e rafforzando la capacità di risposta», il Parlamento ha criticato il livello insoddisfacente di attuazione del diritto ambientale negli Stati membri e ha formulato diverse raccomandazioni volte a garantire un'attuazione più efficace, come ad esempio la divulgazione delle migliori prassi tra gli Stati membri e fra gli enti regionali e locali. Nella sua posizione sull'attuale piano d'azione per l'ambiente, il Parlamento ha sottolineato la necessità di applicare in maniera più rigorosa il diritto ambientale dell'Unione. Ha inoltre chiesto maggiore sicurezza per gli investimenti che sostengono la politica ambientale e sforzi volti a combattere i cambiamenti climatici, nonché che si tenga maggiormente conto delle questioni ambientali e sia garantita una migliore integrazione delle stesse nelle altre politiche[2].